Dal 15 gennaio al 3 febbraio 2011, una delle più interessanti artiste italiane contemporanee si presenta a Mantova in una personale intitolata PERCORSI. Un’immersione nei colori, nelle linee, nelle forme setose e sfuggenti di Patrizia Masserini, artista che sa trasmettere emozioni e pensieri. Tutto questo grazie all’amore per l’Arte unito allo spirito imprenditoriale della galleria “Arianna Sartori, Arte & Object Design” che ospita e organizza l’esposizione.
Segue la presentazione della mostra dal comunicato stampa ufficiale di Domenico Montalto.
L’OMBRA DELLA REALTA’
“La solitudine assoluta non esiste. Esiste soltanto la solitudine crudele verso chi aspetta”: così Elias Canetti in un testo del 1946. E anche noi, invano, aspettiamo che le donne e gli uomini raffigurati da Patrizia Masserini si curino di noi, noi che ne ammiriamo la bellissima pittura sulla quale sembra sempre depositarsi, come un manto di melanconìa, l’ombra affocata d’un tramonto inesorabile. No, le donne della Masserini, giovani vestali di una bellezza glamour contemporanea e metropolitana, non si curano di noi, ripiegate come sono solo su sé stesse, casuali e distratte, senza mai incrociare lo sguardo altrui, estranee a ciò che le circonda, a tutto ciò che pur descrive la nostra condizione quotidiana: le luci notturne della città, il traf-fico che è il respiro rantolante del gigante urbano, un vagone della metropolitana dai cui finestrini volti anonimi fissano il niente.
Intangibili, le figure della Masserini trascorrono, si soffermano per un solo labile istante, destinate a fuggire da noi, anche quando paiono mettersi in posa, dominare con la loro centralità lo spazio e l’assieme del qua- dro. Fuggono, le sinuose e struggenti comparse della Masserini, esprimendo una sorta di straniamento universale, quasi a defilarsi da tutto, quasi a voler uscire di scena, realizzando quel desiderio personale e collettivo di rotta e di diserzione che è il sintomo della malattia spirituale di un’epoca e di una civiltà, e a cui ha dato voce un altro grande della letteratura con- temporanea, Gunter Grass: “…Andare un momento a comprarsi le sigarette dietro l’angolo e non tornare mai più, volatilizzarsi per sempre”. Pur attraversando strade e autostrade, stazioni e periferie – i luoghi per eccellenza della relazione e della comunicazione – i protagonisti dei dipinti di Patrizia sono in fuga dal mondo; forse sono angeli, visitatori spaventati dalla volgarità del presente, dal cumulo di dolore che schiaccia ogni vita. Fuga è titolato, emblematicamente, un olio del 2005 raffigurante una giovane donna che attraversa una strada urbana con marciapiedi percorsi, in lontananza, da passanti che sono silhouettes sommarie, quasi manichini metafisici. E in effetti un clima pressoché metafisico, di interrogativo e di enigma, di attesa d’un evento che non accadrà, pervade le composizioni della Masserini, conferisce loro un’atmosfera visiva ibrida e singolare, come a fondere e “contaminare” suggestioni culturali diverse ma pari- menti epocali. L’artista di Gazzaniga, con mezzi espressivi raffinatissimi e oggi di raro riscontro per qualità, lavora infatti su una sottile sutura, unendo – con una cifra stilistica riconoscibile, di assoluta novità ma anche formata sulla lezione del passato – mondi e retaggi apparentemente distanti e inconciliabili: unendo cioè il versante “esistenziale” della pittura figurativa della prima metà del XX secolo – quel filone dell’angoscia, della crisi e del disagio antropologico che da Hopper giunge a Giacometti e quindi a Bacon e al Realismo Esistenziale italiano del Dopoguerra – all’interesse contemporaneo per le visioni urbane, per le iconografie di riporto dai codici visuali e virtuali dei mass media, delle riviste patinate, della moda, della pubblicità, della fotografia, della televisione, del cine- ma, del videoclip.
Indubbiamente, nei dipinti della Masserini la percezione visiva dell’urban life, della vita moderna, assurge a una sorta di epicità, di classici- tà che vuole riscattare la povertà di senso del vivere contemporaneo assegnando quelle immagini “ordinarie”, di routine, di superficie, (icone di quella che i sociologi definiscono l’attuale “società liquida”: alienante, kafkiana, relativista, priva di riferimenti forti) allo statuto e al regno della pittura. La pittura: ovvero la “poesia che si vede e non si sente”, come la definisce Leonardo da Vinci nel suo Trattato.
Tutte le opere recenti della Masserini documentano, con coerenza e con una calma ma costante progressione qualitativa, l’affermarsi di una figurazione sui generis dall’eccezionale poeticità, in cui convivono gli opposti di una realtà oggettiva vista con gli occhi della soggettività, dell’io interiore, tradotto in un trattamento pittorico che sfoca i dettagli per privilegiare il soggetto, la figura. Quest’antinomia risulta qui caratterizzata soprattutto dal coesistere, in pictura, di due “temperature” interne, anch’esse estreme: il caldo e il freddo. Il “caldo” del colore violento, di matrice espressionista – un registro personalissimo di rossi, di blu, di arancioni, di viola, di verdi – e il “freddo” del sentimento, della visione che prende le distanze, che partecipa della realtà senza però immedesimarvisi totalmente, quasi lasciando un’alea di non detto.
Spesso i personaggi di Patrizia coabitano, ignorandosi, in stanze chiuse e spoglie, o meglio in spazi simulati, antirealistici, antiprospettici, claustrofobici, esibendo attoriali posture, nudità atletiche e sontuose, dalla squisita fattura accademica: dorsi, torsi, braccia, mani che paiono dipinti da uno scultore, tale è la loro plasticità, la loro carnale, nervosa verosimiglianza che evidenzia l’antica predilezione e ammirazione dell’autrice per la scultura di Michelangelo, soprattutto per il “non finito” michelangiolesco, ovvero il linguaggio sommo del tormento moderno, che la Masserini traduce qui a modo suo, ora graffiando in parte le figure, con gesto secco e iterato, come a negarne la perfezione formale, ora lasciandole deliberatamente a uno stadio di non finito. Talora le figure – che non sono veri e propri ritratti ma sempre e comunque fisionomie molto caratterizzate psicologicamente – si affollano nel medesimo spazio, come in Direzioni quotidiane, un olio del 2001 che esprime l’estraneità reciproca di individui nomadi, impegnati in un perenne movimento ma deprivati di una meta finale, di un destino in cui riconoscersi. Altrettanto avviene in Nulla da dire, in Percorsi, in Occhi lontani, tutti quadri in cui l’artista moltiplica teste e fisiognomìe in un cinematografico dissolversi di piani, in un virtuosismo di dissolvenze incrociate, esaltando la bellezza dell’anatomia e del model- lato ma ignorando, nello stesso tempo, qualsivoglia dettaglio d’ambiente o aneddoto narrativo, in un gioco teatrale di luci, di controluci, di alteluci ispirate al chiaroscuro netto, perentorio, drammatico di Caravaggio, maestro storico che Patrizia, gran bergamasca, non può non amare. Come in un dramma di Ibsen o in un copione di Bergman, su tutto grava un’aria di provvisorietà, di incomunicabilità, di perplessità, di nigredo spirituale che rende quei corpi incerti del loro stesso esistere, come a voler mettere in dubbio quell’essere corporeo che è la nostra unica certezza filosofica, l’unico dato di fede fornitoci dalle apparenze. Anche i titoli, che l’autrice sceglie con attenzione scrupolosa e infallibilmente poetica, comunicano questo dissidio, questo convivere obbligato di bellezza struggente e di spaesamento, di “realismo” e di finzione.
Finzione, perché nell’arte della Masserini la pittura – fatta solo di supporti e di pigmenti – rende palese la propria vocazione di eterno mestiere della fingibilità, di mestiere nobile e difficile della rappresentazione, che esige applicazione e metodo. Tutti i quadri dell’artista bergamasca vengono infatti preceduti da una meditata ricerca, da un lento e quasi maniacale lavorìo di studi preparatori, da una serie di schizzi grafici, di disegni e poi di dipinti su carta che non hanno il carattere di abbozzi bensì di modelli già molto perfezionati per quanto riguarda soggetto, composizione, lumeggia- tura, tavolozza. In questi vari stadi di avvicinamento alla versione finale, l’indole pittorica della Masserini – volitiva e bisognosa di autenticità, aggressiva, impulsiva, indocile a ogni leziosità – trova una propria claustrale disciplina e un opportuno freno nell’esigente, sapiente manualità richiesta dal trattamento delle superfici a olio, dalla fusione tonale, dal sovrapporsi delle velature.
Questo tonalismo trova esiti sublimi nei paesaggi, visti sempre al tramonto, sul far dell’ombra, e sempre da un punto di vista mobile, viaggiante, come in Stazione (2003), in Oltre confine (2002), in Linee continue (2000) o nel recente, meraviglioso Luce lontana, tutti documenti di un intrigante immaginario on the road, di un’America vista attraverso la regia dilatata di una visione pittorica magistrale che collima – per attualità e intensità – con altre visioni coeve, ma già entrate nella classicità visuale del nostro presente: per esempio con le lente carrellate e i piani-macchina esasperati d’un Venders, o con la realtà filtrata dall’obiettivo fotografico impietoso di Diane Arbus.
Nell’arte di Patrizia Masserini la pittura torna insomma a celebrare i propri fasti di icona del sentimento, di linguaggio dell’immagine refrattario ai concettualismi e agli intellettualismi oggi di maniera, presentandoci una figurazione nuova e affascinante in cui domina una realtà re-interpretata, rielaborata in chiave intima, che del visibile ci restituisce – insieme – lo splendore e la problematicità.
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Dal 15 gennaio al 3 febbraio 2011
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ARIANNA SARTORI – ARTE & OBJECT DESIGN
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